STILE JUVENTUS.19
Andrea Fortunato
Lo
ha strappato alla vita, al calcio e alla Juventus una forma acuta di
leucemia. Andrea Fortunato se n'è andato in fretta e dopo tanti
patimenti, a dispetto delle cure che per lungo tempo hanno tenuto in
vita la speranza che magari potesse guarire e tornare a essere un
giocatore di pallone. Sforzi inutili. Illusioni inutili. Patimenti
inutili. Su quel corpo da atleta, su quel fisico da velocista, su quella
macchina biologicamente, muscolarmente, tecnicamente perfetta, alla fine
ha preso sopravvento il male. Fortunato è morto proprio quando, in capo
a una serie di tentativi disperati, pareva che la situazione si fosse
ristabilita. Invece il peggioramento è stato folgorante, una polmonite
interstiziale, proprio come la malattia. Se n'è andato a 23 anni, un
insulto alla vita.
E’stato il dottor Riccardo Agricola, nel
maggio del 1994 ad accorgersi che Fortunato non stava bene. Attacchi
febbrili e strane debolezze spinsero il medico della Juventus a
procedere con accertamenti approfonditi. L'analisi del sangue mise
subito in evidenza la leucemia, sessantacinquemila globuli bianchi, e
da allora cominciò per lui, per la sua famiglia e per la Juventus un
autentico calvario.
Fortunato resistette fino all'aprile
dell'anno successivo, un'agonia che segnò l'ambiente, un ricordo che
ancora oggi vena di tristezza chi aveva avuto la fortuna di frequentare
Fortunato. Dopo due mesi trascorsi alle Molinette di Torino, il mancino
bianconero si era trasferito a Perugia, per sottoporsi a trapianto di
midollo osseo, anche se non erano stati reperiti donatori compatibili e
alla fine si era provato con il papà Peppino. Quando sembrava che la
leucemia fosse stata sconfitta, lo tradì l'assenza pressoché totale
di difese immunitarie.
Era l'erede di Cabrini e lo chiamavano
Belli Capelli, per via
della zazzera lunga e della mania di pettinarsi. Era stato Angelo Di
Livio, amico e compagno inseparabile, ad appioppargli quel soprannome
che, con il passare dei mesi, divenne una simpatica etichetta. Era un
terzino sinistro, Fortunato. Un fluidificante di buona corsa e ottima
propensione al cross che Giampiero Boniperti aveva acquistato dal Genoa,
non senza sborsare una discreta dose di quattrini. Investimento
importante che Giovanni Trapattoni, per la seconda volta sulla panchina
bianconera, stava cercando di fare rendere al meglio. Fortunato era
sopravvissuto anche al passaggio di gestione societaria - da Boniperti,
appunto, alla triade umbertiana
composta da Giraudo, Moggi e Bettega - e si poneva come
pedina preziosa per la gestione Lippi. La leucemia gli impedì di
coronare il suo sogno e interruppe anche la sua avventura in Nazionale,
sotto la guida del commissario tecnico Arrigo Sacchi. In bianconero ha
collezionato appena 35 presenze e due gol.
La fotografia di Andrea Fortunato tutt'oggi
è appesa nello spogliatoio della squadra, allo stadio Olimpico,
lui testimone dall'alto di avventure che non ha potuto continuare
a vivere; lui amico della Juventus per sempre; lui simbolo per i tifosi
bianconeri che lo avevano contestato, un giorno, ignari che le sue
prestazioni altalenanti erano figlie della malattia e non di scarso
impegno. Per poi pentirsene.
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