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Con Michel Platini, la Juventus vive il suo massimo
splendore internazionale. Splendore d'immagine, non solo di
risultati. Non è ancora all'orizzonte il Milan di Arrigo Sacchi e
dei fuoriclasse olandesi, il calcio tradizionale della squadra
allenata da Giovanni Trapattoni, reso spettacolare dal miglior
calciatore francese di sempre, si impone in Europa.
Tre finali l'una dietro l'altra, vittorie storiche come il 2-1 di
Birmingham nella tana dell'Aston
Villa campione d'Europa in carica, grande risalto sui giornali
europei, a cominciare da France Football
interessatissimo alle prodezze del capitano della nazionale. Che
riesce a conquistare tre volte il Pallone d'oro,
cosi come Johan Cruyff e Marco Van Basten, ed è il primo in tre
stagioni di fila.
Platini, con i suoi gol, i suoi assist e quella maniera
apparentemente disincantata di vivere il football, aggiunge charme
ad un gruppo che insegue con cocciuta determinazione la Coppa dei
Campioni, il supremo traguardo.
La leggiadra capacità di concepire
calcio, di dirigere, rifinire e concludere come nessun altro, vale
al fenomeno
di origine novarese la simpatia del grande pubblico, anche di quello
che non manifesta fede juventina. Figurarsi in Europa: non c'è club
che non invidia a Trapattoni un campione cosi completo e sorridente,
cosi forte e amato,
tant'è vero che il Barcellona comincia a cercarlo, ricevendo in
cambio un rifiuto cortese, ma pur sempre un rifiuto.
Nella sua bellissima autobiografia, uscita otto mesi dopo l'addio
alla Juve ed al calcio giocato, Platini racconta il suo
specialissimo rapporto con Trapattoni ed i complimenti sinceri del
tecnico: ''Michel, probabilmente tu sei
il miglior costruttore di calcio d'Europa! Ti avevo già notato.
Sono molto felice che ti sia assunto
un impegno
qui per due anni. Come minimo''. E poi: ''Hai molta fantasia e
personalità, ma manchi ancora di autorità. Ma verrà anche questa, ne
sono sicuro... ''.
Le frasi risalgono al sofferto inizio dell'avventura italiana del
più grande calciatore francese di sempre. Afflitto dalla pubalgia,
costretto ad una dieta rigorosa per battere questa malattia subdola,
dovuta allo schiacciamento delle vertebre lombari. Scrive Platini,
che sa resistere ad ogni tentazione di abbandonare la scena: “Quando
ripenso a quei
tempi difficili, so di aver fatto la scelta giusta.
Tenendo duro con tutti e contro tutti, sapevo
che forse ne sarei uscito vincitore. Ero nel Paese del calcio, in
una delle più grandi squadre del mondo, con dei compagni in grado di
conquistare il titolo nella Coppa dei Campioni. Ritirarmi sarebbe
stato un grave errore. Naturalmente, rischiavo di farmi cacciare se
il mio gioco non migliorava. Ma restando sapevo anche che cosa
potevo aspettarmi... il mio giorno sarebbe arrivato. Mio padre Aldo
non mi aveva forse detto che le fate buone del calcio si erano
chinate sulla mia culla?''.
Ma
il tempo è spesso galantuomo e dunque Platini impone la propria
classe nella squadra dei campioni del mondo, più di Bettega, assente in
Spagna per un terribile infortunio. Il decollo avviene alle soglie
della primavera del 1983.Il bilancio è di cinque anni d'amore, non
soltanto di trionfi.
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