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Tre
finali europee consecutive: alla Juventus non era mai accaduto prima
dell'avvento di Michel Platini e Zbigniew Boniek, in aggiunta ai sei
campioni del Mondo - Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Tardelli e
Rossi oltre a Bettega, assente al Mondiale per i postumi di un
terribile incidente al ginocchio sinistro. ln tre stagioni
ruggenti,la Juve ha imperversato in Europa come non le era mai
riuscito in passato. Aveva conquistato, in versione tutta italiana,
Ia Coppa Uefa, ma continuava a collezionare eliminazioni nella
competizione più bella e prestigiosa:prima dello sbarco a Torino dei
capitani di Francia e Polonia, era uscita ad opera dell'Anderlecht,
negli ottavi di finale. Errori e sfortuna, sfortuna ed errori, non
esclusa qualche svista arbitrale: era il copione di ogni stagione.
D'improvviso,
ecco la luce: da un lato, la classe di un artista del calcio, di uno
dei campioni indimenticabili, Platini; dall'altro lato, la potenza
di un genio senza ruolo, un po' centrocampista ed un po'
attaccante,magari di non agevole collocazione tattica (Trapattoni ne
sa qualcosa), ma capace di volate irresistibili, di assist
spiazzanti (per gli avversari), Boniek. Nati per giocare insieme,
l'uno sapeva esaltare l'altro, e se Platini ha riscosso più
consensi, sarebbe ingeneroso ridurre il contributo di Boniek alla
causa. Sensazionale, quasi unico, il feeling tra i due. Evento raro
tra fuoriclasse, diventarono amici.
Quella
Juve. Trapattoniana, di vocazione italianista, ma ricca di talento e
determinazione. Implacabile a Torino,dove ha costruito le
qualificazioni. Spietata in trasferta,dove ha realizzato colpi
entrati nella storia, come il 2-1 di Birmingham, nel marzo del 1983,
a Villa Park, nella tana dell'Aston Villa che era campione d'Europa.
Rossi in gol dopo cinquanta secondi, Boniek nel finale dopo che i
furenti assalti avevano portato al pareggio il futuro barese Cowans.
Quella Juve. Imbattuta alla finale di Atene, destinata
nell'immaginario popolare a sbranare l'Amburgo. E invece soggiogata
dai tedeschi, per una volta accorti ed astuti come gli italiani,
telecomandati da Happel, 1-0 e fine del sogno. Ma resta quella Coppa
dei Campioni giocata con il piglio delle grandi squadre. E resta
anche il dopo: ovvero la Coppa delle Coppe, sfilata al Porto nella
notte di Basilea, in uno stadio troppo piccolo per contenere
l'Italia bianconera, con Boniek ancora protagonista assoluto. E
resta la Coppa dei Campioni dell'Heysel, nella notte più dolorosa
della storia juventina. Anche allora, decisive le devastanti
accelerazioni di Boniek di fronte agli inglesi che lo avevano già
sofferto nella finale della Supercoppa europea a Torino, nel
Comunale coperto di neve.
Arrivare
a Bruxelles era stato difficile perché la squadra era incappata in
un campionato mediocre: se non avesse battuto il Liverpool,
vincitore un anno prima all'olimpico ai rigori contro la Roma,
sarebbe stata esclusa dalle coppe nelle stagione successiva! Quella
Juve. Non soltanto Platini e Boniek, certo. Vinto il titolo
mondiale, gli azzurri si esaltavano soprattutto nei mercoledì
europei. Poi, i mutamenti del mercato li portarono altrove: Gentile
alla Fiorentina, poi Boniek alla Roma, Tardelli all'lnter.
Altre
sfide, altre strade. Occorrerà un decennio per rivedere la Juve ai
massimi livelli continentali,
con
Marcello Lippi in panchina e i campioni dell'ultimo ciclo vincente,
simboleggiati da Gianluca Vialli ed Alessandro Del Piero. Un'altra
squadra, dal pressing asfissiante e dall'appetito feroce.
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